L’USI-CIT Reggio Emilia promuove lo SCIOPERO DELL’8 MARZO CON UN PRESIDIO ALLE ORE 10 IN CENTRO A REGGIO EMILIA E CON UN’INIZIATIVA SERALE AL CIRCOLO BERNERI

Come USI-CIT Reggio Emilia rilanciamo lo sciopero generale dell’8 Marzo sui luoghi di lavoro anche per il 2019.
Uno sciopero che riteniamo necessario per andare a scardinare l’oppressione e la violenza di genere,in una società ancora pervasa da forte discriminazione e sessismo nonostante le numerose lotte per
l’emancipazione femminile che hanno caratterizzato il XX secolo. Ancora oggi gran parte del mondo è basato su una percezione patriarcale dei ruoli di genere con confini definiti e rigidi.
Questo si evince da numerosi contesti in cui il corpo delle donne continua ad essere regolamentato in base alla morale vigente che riflette i bisogni di una classe dominante. Le donna rappresenta da sempre un soggetto a cui vengono storicamente attribuiti compiti di cura della casa, dell’ambiente
familiare e dei figli. Così oltre al lavoro gratuito di cura si somma, per molte di loro, il lavoro salariato.
L’Italia, come l’Europa, è ancora un paese dove una donna su tre tra i 16 e i 70 anni è stata vittima della violenza di un uomo, dove quasi 7 milioni di donne hanno subito violenza fisica e sessuale e dove ogni anno vengono uccise circa 200 donne dal marito, dal fidanzato o da un ex. Il 77% di tali violenze avviene in famiglia e in egual misura nei confronti di italiane e straniere. Inoltre, ancora nel 2019, in molti paesi europei si cerca di limitare la libera scelta delle donne nei temi di
contraccezione di emergenza e di aborto. In Italia per esempio, nonostante la legge 194 del 1978, sono sempre più in crescita le percentuali di ginecologi obbiettori all’interno degli ospedali (circa il70%). Una maggioranza schiacciante che rende, in alcune regioni italiane, quasi impossibilericorrere all’interruzione volontaria di gravidanza.
In ambito lavorativo persiste il gap salariale, che vede una differenza di salario tra uomini e donne che varia dal 20% al 40 % a seconda delle professioni. Inoltre il 50,7 % delle donne non ha un’occupazione che determina un reddito stabile e un terzo delle lavoratrici lascia il lavoro a causa della maternità. I posti di lavoro sono inoltre il luogo dove spesso avvengono molestie sessuali e
violenze nei confronti delle lavoratrici o aspiranti tali. Infatti sono sempre di più le donne che già durante i primi colloqui di lavoro testimoniano di aver subito diversi tipi di molestie. Si tratta in molti casi di giovani precarie che il più delle volte tacciono per non subire conseguenze dal punto di vista lavorativo. Esempio massimo di questa concezione della donna come soggetto inferiore da
tutelare e regolamentare è la legittimazione dello stupro ancora oggi da molti giustificato dalla rappresentazione della donna come provocatrice di presunti “istinti maschili”, schiacciata sullo stereotipo di o santa o puttana.
Per le donne migranti la situazione è ancora peggiore. Lo vediamo con le pesanti discriminazioni che subiscono perché maggiormente ricattabili e tre volte discriminate in quanto donne, proletarie e
straniere. Il Decreto Salvini peggiora una situazione già grave, dall’accesso non garantito alla sanità, alla difficoltà maggiore nel trovare strutture di supporto in caso di relazioni violente con
propri familiari, sino alla minaccia continua dell’espulsione verso paesi dove talvolta la condizione femminile è ancora peggiore.
Chi negli anni scorsi si è distinto in mezzo al branco per una più forte propaganda razzista e sessista oggi siede sui banchi di governo, continuando a cianciare sul corpo delle donne con una cultura
patriarcale, paternalistica e quindi profondamente autoritaria. Una cultura di cui quest’ultimo governo non ha il patrimonio unico ma ne è semplicemente l’interprete più becero. Lo si evince dai discorsi sulla natalità e sulla famiglia tradizionale, dalla permanente campagna elettorale in favore della famiglia tradizionale, di una gerarchia tra i sessi e della fissità dei ruoli di genere. Un governo
in perenne campagna elettorale che parla del corpo femminile come “bene nazionale” da porre sotto tutela e negando a tutti gli effetti la soggettività individuale delle donne.
A tutto questo dobbiamo aggiungere il DdL del Ministro leghista Pillon che punta a normare le separazioni e gli affidi dei figli imponendo, anche in caso di presunte violenze fisiche di uno dei coniugi, una forma di affido paritetica tra i due genitori. Inoltre l’affido paritetico presupporrebbe anche la cancellazione dell’assegno di mantenimento e la creazione di una sorta di bilancio spese da
dividere tra i due coniugi. In un paese dove il 50,7% delle donne non ha un’occupazione che determini un reddito stabile risulta evidente il ricatto economico.
Queste sono solo alcune delle tante caratteristiche del Disegno di Legge che renderebbero ancor più difficile per una donna denunciare la violenza e separasi dal coniuge, generando una condizione
di aperta ricattabilità.
Una legge simile metterebbe una pregiudiziale economica di fronte alle coppie che volessero separarsi indipendentemente dai motivi e si ripercuoterebbe ulteriormente sui loro figli.
Si tratta solo di alcuni esempi che testimoniano come la discriminazione di genere sia ancora oggi una delle tante contraddizioni della nostra società, che categorizza le donne come vittime da aiutare,
come oggetto di proprietà esclusivamente maschile e come persone incapaci di scegliere e di difendersi da sole. La lotta femminista combatte per scardinare gli attuali rapporti di forza e cammina di pari passo con la lotta di classe e con la lotta antirazzista. Per questo rilanciamo la
scadenza dell’Otto Marzo come scadenza intersezionista e internazionalista, di lotta radicale, antirazzista e antisessista in quanto comprende tutti questi ambiti che non sono e non possono essere separati.
Come Unione Sindacale Italiana pensiamo che soltanto con l’intersezionalismo, ovvero la capacità di tessere relazioni tra lotte solo apparentemente separate, si potrà abbattere la cultura patriarcale di
cui sono imbevuti il capitalismo e lo statalismo. Lo sciopero come risposta a tutte le forme di violenza sul corpo e sulla mente delle donne. Lo sciopero come prassi per riprendersi la gestione delle proprie vite e dei propri corpi dalle mani dello stato, come percorso di abbattimento del nucleo primo dell’autoritarismo: il patriarcato. Lo sciopero per costruire un percorso che vada oltre la semplice rivendicazione di diritti, perché nasca nel nostro tempo un germoglio di libertà di una
futura società di liber* e uguali.

8 marzo sciopero globale!
Se toccano un* toccano tutti!
Per ulteriori info: FB: Usi-Cit Reggio Emilia // usireggioemilia@inventati.org